Storie di scienziate che, con ogni probabilità, non avevano intenzione di fare la storia.

Ultimamente stiamo notando questa tendenza a parlare di donne nella scienza come eroine, impavide guerriere che lottano contro un sistema che impedisce loro di esistere: forse dovremmo un attimo ridimensionare la questione.

Così come tendiamo a mitizzare la maggior parte degli scienziati uomini, che nella loro vita ci sembrano essere esistiti solamente in funzione delle loro scoperte, tendiamo ad associare automaticamente le donne che sono riuscite a fare carriera in ambito scientifico ad una cerchia ristretta ed elitaria di “coloro che sono riuscite”.

Automaticamente tutta la vita di queste donne diventa una celebrazione dell’incredibile ingegno femminile, come se le scienziate potessero essere effettivamente delle superdonne: tralasciamo sempre il fatto che l’unico desiderio di queste persone era dedicarsi alla scienza, come moltə di noi.

Ancora oggi descriviamo queste scienziate associandole agli uomini più in vista che le sono state affianco: Lise Meitner in funzione di Otto Hahn, Mileva Maric in funzione di Einstein, Rosalind Franklin in funzione di Watson e Crick.

Quando ci renderemo conto che le scienziate di cui siamo a conoscenza sono solamente una piccola percentuale delle donne che si sono dedicate alla scienza nel corso dei secoli, i cui risultati non furono mai ritenuti degni di essere conservati? Quanta conoscenza è stata persa per questo motivo?

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